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Filmati ed articolo del corso di tamburello organizzato dalla “Associazione del capricorno: i suoni della daunia” a Panni nei giorni 14-15-16 settembre 2012

Riceviamo e ben volentieri pubblichiamo quanto scritto dal nostro amico Giuseppe Antonacci sul tamburello e sulla sua storia. Questo articolo è pubblicato anche sulla pagina Storia & tradizioni al fine di rendere
più interessanti le notizie sugli usi, costumi e tradizioni del nostro territorio.
Pubblichiamo anche, sempre dello stesso autore, anche i filmati dei tre giorni di corso.
Grazie al nostro amico per questo suo contributo.
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” Si è conclusa domenica 16 settembre, presso i locali dell’ass. La zampogna del Capricorno di Panni, un seminario di tre giorni sul tamburello. Antonello Iannotta, giovane musicista del gruppo molisano Archè, ha condotto alla conoscenza dello strumento a percussione una ventina di persone desiderose di scoprire ritmi e tecniche del tamburo a cornice, senza tralasciare i segreti di una buona costruzione artigianale dello strumento.
L’importanza del tamburello nella musica popolare è fondamentale perché la sua percussione fa da tappeto ritmico al canto e segna i passi di danza. Intorno al ritmo si creavano quei movimenti e quei motivi che si trasformavano in una danza caratteristica per ogni comunità.
Esistono varie forme di tamburelli, soprattutto lungo l’area del Mediterraneo, ai quali sono associati determinati ritmi, si pensi ad esempio alla “tammurriata” in Campania, che fa uso di uno strumento di grandi dimensioni ma dal ritmo più lento, o alla “pizzica” nel Salento che si serve di un ritmo più veloce eseguito con un tamburello più piccolo.
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Questi i filmati della manifestazione




La maggior parte degli strumenti popolari ci riporta al rapporto che l’uomo aveva con gli strumenti di lavoro. Il tamburello, ad esempio, deriva dal setaccio, e il modo di suonarlo, per esempio nella “tammurriata”, ricorda i gesti che le donne riproducevano per setacciare il grano. Ma il tamburello ha origini ancora più antiche. In epoca precristiana veniva usato dai sacerdoti dell’antica Grecia nei riti religiosi, come dimostrano le raffigurazioni ritrovate sui vasi o sulle pareti di sfarzose ville romane. Per la sua costruzione si usava pelle di capra perché, nella mitologia, la capra funge da anello di congiunzione tra il mondo terreno e quello ultraterreno. Il dio Pan, ad esempio, viene raffigurato con la testa e con i piedi di capra, ossia assume le sembianze di capra nella parte del corpo più vicina al cielo e nella parte a contatto con il terreno.
E’ interessante notare che le mitologie delle più importanti civiltà dell’area mediterranea hanno come protagonista il tamburo. La mitologia greca affida la padronanza dello strumento ai Coribanti, sacerdoti della dea Cibale, i quali solevano curare l’epilessia e la malinconia con il ritmo ossessivo del tamburello. Sempre la mitologia greca spiega come Basileia, sposatasi col fratello Iperione, ebbe due figli: Selene (la luna) ed Elio (il sole). Dopo la notizia della morte dei suoi figli, Basileia impazzì e andava in giro suonando il tamburello con i cembali, in preda ad una commovente disperazione. È facile intravedere nel disco del sole e in quello della luna piena la forma del tamburello e dei suoi opposti.
Anche la mitologia indiana fa riferimento al tamburo sotto forma mitologica.
Secondo Schneider in India, intorno all’anno 1000 a.C., esisteva un tamburo a forma di X o a forma di clessidra con le parti superiori rivestite in pelle di animale maschio e quelle inferiori rivestite di pelle di animale femmina. Questo tipo di tamburo era usato nei riti ed assumeva la funzione di mediatore tra la terra e il cielo e la comunicazione tra uomo e dio avveniva attraverso il suo suono.
Nell’Asia del nord c’è una leggenda che narra di un pastore molto malato tanto che in particolari momenti la sua anima si allontanava dal corpo e andava vagando nello spazio. Un giorno la sua anima fu catturata da uno spirito maligno che la rinchiuse in una bottiglia tappando con il pollice l’imboccatura. Lo stregone interpellato per guarire il pastore, trasformatosi preventivamente in ape, punse il pollice dello spirito maligno e riportò l’anima del pastore nel suo corpo a cavallo del suo tamburo. Quando il dio del cielo lo venne a sapere si adirò con lo stregone perché aveva osato dimostrare una forza pari a quella di un dio e spaccò in due parti il tamburo che prima di allora era completamente ricoperto di pelle. Da allora gli sciamani hanno un tamburo con una sola pelle e il loro potere è condizionato alla risposta che ricevono dall’altra metà di tamburello che stà in cielo. Gli sciamani dell’Asia del nord affermano: “Questo tamburo per noi tanto degno di venerazione è tanto importante perché la sua forma rotonda rappresenta l’universo. Il suono forte e lungo è il polso o il cuore che batte nel centro dell’universo. E’ la voce del Grande Spirito. Il suo suono ci consente la comprensione del mistero e della forza di tutte le cose.”
Il tamburello ha una forma circolare che rappresenta il cosmo, nel quale sono compresi gli opposti come il sole e la luna piena, dei quali prende forma.
Il suo uso terapeutico trovava spazio, fino agli anni ‘50, nella cura del tarantismo, soprattutto in Salento. Il rapporto tra il tamburello e la danza è un rapporto speculare, infatti la danza ripropone sul suolo il cerchio del tamburello e i passi non sono altro che i colpi ritmati che servono per far suonare il tamburello.
Luigi Chiaritti, etnomusicologo salentino, così definisce il rapporto tra lo strumento e la terapia: ”…il cerchio di legno (lu farnaru) rappresenta, nella sua sfericità, l’universo-mondo o il cerchio magico-rituale in cui si svolge l’azione del rito. I sonagli, rigorosamente di rame, rappresentano il disordine, l’irrazionale, l’oscuro, il brutto, il discordante, la realtà che ti graffia e ti capita addosso. I sognagli graffiano, disturbano, non entrano in armonia con gli altri strumenti, infastidiscono, scordano con l’ordine ritmico-armonico precostituito. E’ per questo motivo che i nuovi tamburi, con sonagli piccoli e armoniosi, non sono apprezzati dai vecchi suonatori di pizzichi-tarantate. La pelle rappresenta la costante ritmica (il rif, il devise), il battere costante e cadenzato che serve a reintegrare la tarantata nell’ordine delle cose, della vita quotidiana.” (L. Chiriatti, Morso d’amore, pp. 27 e 28 -Capone Ed). Il tamburello, dunque, serviva, nella pratica terapeutica del tarantismo, ad armonizzare gli opposti, ad accoglierli e ad annullarli nel suo cerchio magico, nonché ad attirare a sé tutte le distorsioni di una personalità deviata, per poi riportarla alla normalità attraverso l’estasi che scaturiva dal ritmo ossessivo.

Donatacci Giuseppe